CIRCUITO "MANDINGO DI DOLCEACQUA"© Dolceacqua da vivere: Curiose citazioni trovate in internet su Dolceacqua

SCEGLI DI PASSARE UNA VACANZA DA SOGNO A DOLCEACQUA. NON TE NE PENTIRAI

09/11/09

Curiose citazioni trovate in internet su Dolceacqua


Il pane, la (dolce) acqua e i romani
Dolceacqua, entroterra di Ventimiglia. Ovviamente la guida del Touring ci erudisce sul fatto che no, il nome
proprio non c’entra nulla col fiume che passa nel paese. E noi che c’eravamo illusi. Camminiamo nelle vie
della parte più antica del borgo e ci imbattiamo in un gruppo di turisti stretti gli uni agli altri a ridere e
vociare. Chi saranno mai? E cosa avranno trovato di così divertente? Alla prima domanda rispondiamo
senza fatica quando sentiamo un grido di battaglia del tipo “Ao’, veni a legge ‘sta storia che ffà morì
darride!” In quel momento, non so perché, mi vengono in mente le lapidarie parole pronunciate un giorno
da un amico marchigiano: “I romani ci invadono”.
La fonte dell’ilarità di questo gruppo di turisti della capitale è un pannello attaccato alla facciata di una casa.
Lungo il cammino ne ho già visti degli altri: ognuno di essi racconta una tappa della storia di Dolceaqua o un
particolare dell’artigianato locale o dei dintorni del paese. Quello che abbiamo di fronte ci parla della
michetta, una tipica forma di pane prodotta e venuta in abbondanza dalle panetterie del luogo, con tanto
di cartelli pubblicitari posti all’esterno dei negozi.
La storia è presto detta, anzi, sarebbe presto detta se tra una frase e l’altra non si intromettessero i romani
con i loro commenti.
…Nel medioevo Dolceaque era sotto la dominazione di un marchese che pretendeva di applicare lo jus
primae noctis…
“Aò, che vvordì sto iusse?” “Che a prima notte er marchese te t******a ‘a moje!” “Anvedi sto s*****o!”
Finissimi, davvero finissimi.
…Un giorno alcune donne del paese si ribellarono a questa barbara usanza…
“Han fatto bene!” tuona una delle fanciulle presenti, rivolta, credo, a suo marito. “E se ‘un la smetti de
comportarte come ‘n burino fai anche te come er marchese: ta’a puoi pure scordà!”
Finissima, davvero finissima. E meno male che era il marito a non doversi comportare come un burino.
…Le paesane riuscirono a organizzare una rivolta contro il marchese che fu costretto a emettere un editto
che cancellava lo jus primae noctis. Per festeggiare la vittoria, le fornaie di Dolceacqua crearono un pane
dalla forma davvero particolare, che ricordava “la parte privata delle donne”…
“Aò, han fatto er pane a forma de ******! Gajarde! Pensa che forma j’avrebbero dato se avesse vinto er
marchese!”
Finissimi, semplicemente finissimi.
…Le signore diedero a quelle pagnottine lo stesso nome con cui, in dialetto, si riferivano a quella parte di
loro stesse: la michetta.
“Aò, damme du chili de michetta!” dice uno dei romani mentre batte con forza una mano sulla spalla di
quella che, credo ancora per poco, poteva essere la sua fidanzata o sua moglie. Scoppio di ilarità generale,
con tanto di battute su quanti chili di pane comprare, a che prezzo (carissimo, questa è l’unica cosa su cui
tutti sembrano d’accordo) e soprattutto con quale frequenza.
Finissimi, definitivamente finissimi.
Eppure mi ritrovo anch’io a non riuscire a smettere di ridere. Perché? Perché lo stesso pannello che stanno
leggendo i romani (finissimi!) lo si può trovare appeso a poca distanza da lì, tradotto in diverse lingue a uso
e consumo dei turisti stranieri, siano essi inglesi, francesi o tedeschi. Naturalmente, la prima cosa che faccio
è andare a leggere l’ultima parte della storia, quella che parla del pane a forma di quella cosa lì. Sono
curioso di scoprire come venga proposta la similitudine agli amici stranieri. “The female private part” recita
il cartello per gli inglesi. “La parte privata delle donne”. E io che pensavo che quella più privata di tutte
fosse la carta di credito. Ingenuo.
Mi lascio la mandria di romani alle spalle e continuo a passeggiare. Nonostante la mia volontà di mettere
quanto più spazio possibile tra me e loro, non faccio molta strada. Mi ritrovo infatti a passare davanti a una
panetteria e a buttare un occhio alla vetrina. Tra le ceste di pane spunta un cartello “Qui michette”. Mi
immobilizzo. “In che senso?” mi interrogo. Alzo gli occhi e incrocio lo sguardo della commessa che aspetta
all’interno, a pochi passi dalla porta. Vorrei tanto entrare e porre la domanda così, in maniera diretta e un
po’ surreale. Magari ci faremmo due risate e poi, con grande pragmatismo, lei mi rifilerebbe mezzo chilo di
pane (pagato oro) prima di congedarmi. E mi ritroverei da lì a poco a sbocconcellare pagnottine in giro per
Dolceacqua
Ma qualcosa mi consiglia di procedere oltre: dietro di me già sento le voci dei romani che si avvicinano.
“Ao’! Guarda che ce stà scritto sur cartello!” “Famme vede! Famme vede!” gli fa eco qualcun altro. Non ho
dubbi: loro non si fermeranno di fronte a valutazioni di opportunità o educazione. Entreranno e parleranno
con la commessa. Porranno le domande che io non ho avuto il coraggio di porre, faranno battute che io non
avrei nemmeno avuto il coraggio di pensare. E investiranno metà del loro stipendio comprando dodici chili
di pane, del tutto inutili, che finiranno per diventare stantii prima che i barbari li abbiano mangiati. Ma sono
fatti così, esagerati e caciaroni in tutto e per tutto. Eppure, a modo loro, sono anche simpatici. E poi…
com’è che diceva il mio amico marchigiano? “I romani ci invadono”. E pensare che i suoi erano originari di
Latina. Misteri della geografia italiana.
Andrea Borla


Ringraziamo per il testo www.andreaborla.com


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